Nomi - Palazzo Vecchio

Si tratta di un notevole esempio di residenza fortificata cinquecentesca. L'impianto si articola in tre corpi di fabbrica affacciati sulla corte centrale; sul fianco destro spicca la torretta cilindrica con tracce di decorazioni affrescate, in cui si narra sia stato arso vivo nel 1525 il signore di Nomi Pietro Busio. In alto, il sottotetto è ornato da una originale doppia fila di dentelli in cotto. Particolarmente suggestiva è la loggia compresa tra le due ali laterali del palazzo, realizzata secondo lo stile dell'architettura veneta. Un tempo essa era completamente affrescata, ma oggi si possono notare sulla parete solo le figure di tre personaggi. Nell'ala di sinistra si apre oltre un portale la cosiddetta Corte del Gobbo. Feudo in epoca medievale della famiglia Castelbarco, la giurisdizione di Nomi fu venduta nel 1494 all’imperatore Massimiliano I d’Austria, che quattro anni più tardi la diede in pegno alla famiglia Busio originaria di Milano, in cambio della somma di 8000 fiorini. Furono costoro a realizzare, forse su preesistenze più antiche, l'edificio attuale. Nel 1511 Pietro Busio acquistò la giurisdizione e conferì all'edificio le eleganti ma severe forme che conserva tuttora. Durante la cosiddetta "guerra rustica" del 1525 anche a Nomi si scatenò una violenta rivolta popolare che condusse all’espugnazione e al sacco del palazzo signorile, nonché alla morte tra le fiamme dello stesso Pietro. All’estinzione della famiglia (avvenuta nel 1646) feudo e giurisdizione passarono per via ereditaria all’arciduca d’Austria, che li vendette alla famiglia Fedrigazzi. Gli ultimi discendenti di questa dinastia, i baroni de Moll, che li avevano ricevuti nel 1822, vi rinunciarono infine nel 1838. Essi si trasferirono quindi in una nuova residenza concedendo l'uso del Palazzo Vecchio a famiglie del luogo.